Intervista al dottor Giancarlo Caroli, impegnato nell’attività di formazione dei formatori di educazione stradale, in collaborazione con il Dipartimento Educazione Stradale, realizzata dal nostro formatore Marcello de Pace, intervenuto al corso effettuato dalla FMI a Bari nel mese di giugno.
Il dottor Caroli ha una lunga esperienza maturata nelle gare del MotoGP ed è attualmente responsabile del servizio medico dell’autodromo di Imola. Gli abbiamo rivolto alcune domande.
L’innovazione maturata sulle piste si trasferisce nella quotidianità, lei ne è una dimostrazione lampante nel campo medico. Quale è il suo approccio con la Federazione Motociclistica Italiana?
“Attualmente ricopro il ruolo di Medico Federale, ovvero il presidente di quella commissione che si occupa di tutte le tematiche di matrice medico-sanitaria inerenti alle attività federali nel loro complesso. Faccio parte anche della Federazione Internazionale Motociclistica (FIM) in qualità di consigliere del Medical Panel. In termini di approccio esperienziale portato nella federazione, devo sottolineare che la strada e la pista sono due cose completamente differenti. Vi sono performance che su pista sono di ordinaria amministrazione ma che su strada comportano un rischio altissimo per chi le mette in pratica. L’esperienza maturata negli anni trascorsi a bordo pista, la velocità nel prendere delle decisioni, il colpo d’occhio sulle condizioni dei piloti e altre piccole grandi attenzioni sono quelle su cui stiamo lavorando affinché sempre più e sempre meglio i soccorritori e i ragazzi stessi sappiano come comportarsi in un primo soccorso ad un motociclista”.
Una esperienza in particolare, maturata negli anni della Clinica Mobile e sulla pista, che può dare un messaggio ben chiaro ai nostri giovani lettori.
“Oltre ad essere sempre nella mia mente il soccorso, purtroppo vano, prestato a Pasolini e Saarinen mi sovviene alla mente un pilota, Andreini, che gareggiava nei campionati Enduro e che credo non abbia mai fatto un giro per strada in moto. Sull’enduro lui si sentiva un “padrone” perché in pista era perfettamente cosciente dei pericoli che correva e delle prestazioni che poteva raggiungere, mentre in un contesto come quello caotico delle strade non percepiva alcuna sicurezza. Non crediate che Valentino rischi più di tanto, se succede è perché un altro fa un errore, è infatti molto raro che cada a causa di una sua errata valutazione. In corsa si può essere al limite, sulla strada no. Con le vie di fuga che ci sono ora, merito anche degli anni di lavoro fatti assieme al Dott. Costa e alla forte pubblicità incentrata sulla prevenzione e adeguamento dei circuiti per la sicurezza dei piloti, è possibile cavarsela con “poco” o uscire completamente indenni dalla maggior parte delle cadute in pista. Questo è fondamentalmente dovuto al fatto che si può fare una scivolata anche di cinquanta, cento metri senza incontrare alcun ostacolo, mentre in strada dopo pochi metri sicuramente si corre il rischio di impattare su un palo, su un muretto o su un altro veicolo in movimento. E’ questa la sostanziale differenza che riduce drasticamente il rischio che invece apparirebbe enorme in pista rispetto alla strada”.
Dalla sua grande esperienza può dare ai nostri lettori alcuni consigli per il primo soccorso e indicarci quali gli errori più comuni che compromettono poi il lavoro dei soccorritori?
“Citando la cultura popolare, sempre degna di rilevanza, il detto “prevenire è meglio che curare” è la mia personale bandiera. Partendo da un ottimo controllo del mezzo a motore, passando per un abbigliamento tecnico capace di proteggere concretamente il “pilota”, primo su tutti un casco ben allacciato, ma anche i guanti, il giubbotto, i pantaloni e gli stivali devono concorrere a prevenire le lesioni. Su strada non siamo soli e questo è il fulcro del discorso, ci sono gli altri individui dei quali è difficile prevedere il comportamento; sarebbe opportuno guardarli sempre in faccia per capire le loro intenzioni. Personalmente mentre guido la moto o l’auto se vedo un automobilista ad un incrocio, il quale avanza e non mi sta guardando, rallento. Purtroppo non ci dobbiamo assolutamente fidare degli altri o perlomeno è bene avere presente che gli altri possono azzardare manovre poco ortodosse che potrebbero metterci in una condizione di rischio. Ricordiamoci che noi motociclisti siamo e saremo sempre degli utenti deboli sulla strada.
Se poi è necessario curare, allora è importantissimo segnalare in modo evidente l’incidente. Il pilota che cade con un buon casco e l’incidente non è a velocità “supersoniche”, solitamente è sveglio e va ascoltato, tenendo ben presente che il dolore può non essere avvertito immediatamente ma manifestarsi soltanto dopo pochi minuti. Se ci dice che sente dolore alla schiena o al collo, se ha delle difficoltà nei movimenti o ha perso conoscenza, è consigliabile non muoverlo e chiamare l’ambulanza. Al contrario di quanto si sostiene comunemente, se il motociclista non può togliersi il casco da solo è meglio lasciarglielo senza slacciare il cinturino in quanto quest’ultimo consente, se il pilota è svenuto, un sostegno alla mandibola che tende ad abbassarsi e a chiudere le vie respiratorie. Se invece il motociclista si sente bene può non essere necessario chiamare i soccorsi, ma è assolutamente importante monitorare le condizioni nell’arco di una giornata: fatica nella respirazione, dolori addominali, emicrania che peggiora e sintomi simili possono essere segnali d’allarme da non sottovalutare”.