La Federazione italiana e quella internazionale sono chiamate ad adeguarsi al tumultuoso cambio dei tempi in atto. Ci aspetta un ruolo istituzionale che vogliamo interpretare in modo concreto.
Tempo fa, nel settore velocità, è esplosa la “moda” dei baby-campioni: ragazzini di 13 o 14 anni che “dovevano” correre nel Mondiale, in nome di una presunta straordinaria capacità sportiva e una conseguente, presumibile, luminosa carriera agonistica (e relativi guadagni…).
Personalmente non ne sono mai stato convinto, anche a costo di fare sembrare “antiquata” la nostra Federazione. Che senso aveva “bruciare” giovani talenti, caricandoli di responsabilità, esponendoli ad una fortissima pressione pubblica e alla “delusione nazionale”, in caso di mancati risultati? Quando invece avrebbero avuto un “disperato” bisogno di fare prima esperienza nell’Italiano e magari nell’Europeo? Risultato: pochissimi nuovi piloti alla ribalta (non solo in Italia), ma sicuro impoverimento del vivaio nazionale.
Ora sembra si sia intrapresa una stradea diversa, anche per nostre ulteriori pressioni, innalzando (di poco) il limite minimo per correre nel Mondiale. Nel frattempo si è perso tempo prezioso.
La domanda che ogni tanto ci sentiamo rivolgere, “cosa fa la Federazione?”, prevede una risposta semplice: fare in modo che tutto giri per il verso giusto. Una Federazione deve proporre innovazioni, suggerire soluzioni ai problemi, vigilare su competizioni e regolamenti. In altre parole: deve svolgere e mantenere un ruolo centrale nei confronti delle controparti. Ad esempio, in ambito sportivo, Promotori o Associazioni “di categoria” (Case, Team, Piloti). Una necessità assolutamente evidente oggi, quando l’incertezza economica mondiale mostra come sia utile il lavoro di un organo superiore, capace di guidare gli eventi, mediare quando serve, oppure “suggerire con forza” soluzioni giuste ed utili a tutti, se non c’è accordo tra le parti. Un ruolo forse defilato, lontano dalla ribalta ma concreto, con certezza di idee e di comportamenti.
Ogni Federazione nazionale deve difendere il proprio ruolo e le proprie competenze, svolgendo un ruolo centrale nella gestione dello sport. La Federazione internazionale deve avere la stessa missione, ad un livello superiore, diventando interlocutore esclusivo di tutti gli attori in campo, senza posizioni preconcette né sudditanza psicologica. Una confusione di ruoli o addirittura l’abdicazione ai propri diritti non porta alcun vantaggio ma rende invece evidente un vuoto di gestione.
Crediamo sia venuto il momento di cambiare le carte in tavola.
Paolo Sesti